Eccoci finalmente. La prima festa comandata dell’anno
è arrivata puntuale come al solito. Una liturgia lunga cinque serate che, date le premesse, si preannuncia un eterno riposo.
Ci sono tante domande su questo primo
appuntamento col Festival di Sanremo 2018 che ahimè resteranno prive di
risposta. Come i più grandi misteri legati alla fede e tutt’oggi irrisolti,
anche quelli legati alla kermesse musicale non avranno soluzione.
Il primo dubbio è come abbia fatto un prelato a
fagocitare il direttore artistico Claudio Baglioni, concedendogli pochi e brevi
sprazzi di vitalità nel corso della serata. Palesatosi sul palco dell’Ariston
come un’apparizione mariana, don Claudio ha sparato da subito un pippone biblico
facendo a brandelli una prima iniziale ventata di brio portata da Fiorello. La
recita liturgica ha avuto poi la meglio sul capitano coraggioso infliggendo una
lenta morte ai telespettatori devoti, rianimati a fatica dal ritorno sul
palco dello showman siciliano. La recita del Rosiario è stata comunque troppo
breve per salvare l’intera liturgia.
Segue poi un interrogativo fondamentale: chi ha
liberato Michelle Hunziker da dietro il bancone di Striscia la Notizia,
lasciandola a briglie sciolte per tutta la sera? La svizzera ha collezionato
una serie di banalità e gag malriuscite tanto da far rimpiangere perfino il
Gabriel Garko di qualche edizione fa.
Per non accanirsi eccessivamente sulla bionda
conduttrice, si legga direttamente il terzo interrogativo e forse quello più
importante in un festival che, guarda caso, “ha scelto di mettere al centro la
musica”: ma quanto sono brutte le canzoni di quest’anno da uno a Povia? Nella
lunga liturgia della prima puntata, le canzoni in gara hanno indicato, nella
migliore delle ipotesi, la corsia preferenziale ai pensieri più blasfemi e,
nella peggiore, alle bestemmie più fantasiose. Se Elio e le Storie Tese
avrebbero fatto meglio a sciogliersi prima di questa partecipazione al
Festival, i Pooh avrebbero potuto restare insieme ancora un po’ così da
evitarci una doppia agonia (prima con Fogli e Facchinetti, poi con Red
Canzian). E ancora, se la canzone di Dalla portata a Sanremo da Ron era rimasta
tanto tempo dimenticata in un cassetto forse un buon motivo c’era. E a
proposito di dimenticare, la Vanoni aveva evidentemente scordato in hotel le
goccine. Molte, troppe, vecchie glorie tanto da far sembrare questa 68esima
edizione del Festival di Sanremo una lenta messa cantata di fine luglio. Certo
anche i giovani non fanno faville. A cominciare dai super favoriti Meta e Moro
che provano a bissare il successo dell’anno scorso con una canzone contro il
terrorismo che, a sentire il testo, le orecchie degli ascoltatori hanno
minacciato atti kamikaze.
Decibel, Barbarossa, Noemi e Zilli un gradino sopra
gli altri, mentre Lo Stato Sociale rischia di andare molto vicino alla
vittoria.
Insomma, poteva andare decisamente meglio. Ma le vie
di Sanremo sono infinite e la speranza è l’ultima a morire (solo la Vanoni è
più longeva).